martedì 11 aprile 2017

L'Amazon "De Amicis" e le pipe del De Amicis





     Edmondo De Amicis ha inserito spesso la pipa nelle sue opere, con simbolismi e percezioni diverse, e a volte opposte. Ho deciso quindi di descrivere le pipe che lo scrittore ha incastonato nelle sue opere, come appendici che vanno ad amplificare l'interiorità dei personaggi.

 "Cuore" è l'esaltazione della scuola come fornace del nuovo popolo italico. Un fiume i cui affluenti sono tutti i ceti della nazione. Un fiume in cui sfociano i figli di tutte le sorgenti della patria terra unificata, uniti tra fratelli nel culto della patria.     
 L'opera stessa del De Amicis diviene testo e fonte per dissetare il cuore dei fanciulli italiani, tessendo quel legame pedagogico ed empatico essenziale per la loro evoluzione.
 La pipa, in quest'opera, fa il proprio ingresso in bocca al padre di Coretti, amico del protagonista Enrico, durante l'arrivo di Re Umberto alla stazione della strada ferrata. La pipa diviene, assieme alla medaglia al valore e alle due commemorative, non solo simbolo dell'autorità paterna, ma anche del vissuto, storico e morale, di quell'uomo che combattè nel quarto battaglione del '49 ed ebbe il Re, all'epoca principe, come generale di divisione durante la mattina del 24 Giugno 1966,  quando il battaglione si trovò ai ferri con le lance degli ulani austriaci.
 La sua pipa di gesso la incontriamo nuovamente durante la scampagnata che il rivenditor di legna organizza in collina per il figliolo e i suoi amici. Con la pipa tra i denti e la giacca sulla spalla, Coretti padre segue da lontano i fanciulli, che saltano, corrono e urlano, minacciandoli ogni tanto con la mano, per evitar che si facciano male o si rovinino i calzoni.
 La pipa, come simbolo di protezione paterna, è presente anche nel racconto mensile "Dagli Appennini alla Ande". Protagonista del racconto è Marco, un ragazzo genovese di tredici anni, che parte per Buenos Aires in cerca della madre.
 Il viaggio in mare ha una durata di ben ventisette giorni. Verso la fine del viaggio, Marco conosce un vecchio contadino lombardo, il quale, mentre fuma la pipa seduto a prua e sotto il cielo stellato, cerca di confortare il fanciullo, in pena per gli incubi che avvolgono le sue speranze di riveder la madre sana e salva.

 Se in "Cuore", la pipa diviene scettro dell'autorità, ma soprattutto dell'autorevolezza, ne "La maestrina degli operai", la pipa muta il suo simbolismo, divenendo attributo della plebagnia, insieme ai sigari puzzolenti e all'acquavite da quattro soldi.
 La storia è ambientata nel piccolo sobborgo di Sant'Antonio, posto un miglio fuor di porta e abitato da contadini e operai di due grandi fabbriche, una di ferramenti e una di acido solforico. Terminato il travaglio, gli operai si riversano all'interno dell'osteria della Gallina.
 Protagonista dell'opera è la maestrina Enrica Varetti, che ha avuto l'incarico di insegnare nella scuola serale degli adulti. Figlia di un nobile maggiore di fanteria, morto durante la battaglia di Custosa, ella è vissuta fino a 18 anni in un severo collegio di provincia.
 La maestrina è sempre stata condizionata dal terrore della plebe, a causa di una commozione di spavento insorta per esser stata testimone, da bambina, di una rissa sanguinosa tra minatori. La sua visione negativa del popolo, considerato sboccato, manesco, insolente e sovversivo, contrasta però col suo desiderio di redimerlo attraverso l'educazione e l'insegnamento.
 I suoi buoni sentimenti vengon meno quando, in attesa dei suoi alunni, vede una fiumana di lavoratori dirigersi verso la scuola, come un'orda rivoluzionaria, provvista non di  fiaccole ardenti, ma di fumanti pipe al labbro. Queste pipe, ormai spente, andranno ad appestare ben presto la classe, insieme a un lezzo misto di mozziconi di sigaro, vino, liquori, grasso di macchina, pelli conce, stalla e scarpe fradice. Esse verranno riaccese immediatamente, una volta finita la lezione, originando una suggestiva luminaria nella nebbia.
 Massima rappresentazione dei bassi istinti popolani è il giovane  Muroni, detto Saltafinestra perché da bambino, per fuggire al padre che lo voleva ammazzare, saltò dalla finestra rompendosi una gamba cadendo malamente. Fabbro ferraio occasionale, ma giocatore, briacone, accattabrighe e prepotente a tempo pieno. Incrocio tra un bellimbusto e il brigante, il Muroni terrorizza ancor più la maestrina, proprio perché in esso l'orgoglio e l'ambizione si fondono con la povertà morale e l'istinto selvaggio.
 La pipa, tra le labbra del Muroni, diviene quasi emblema della mascolinità silvestre, della forza e della virilità imposta. Egli, per parlare, la sfila dalla bocca e la pone nel taschino della giacca, continuando a toccarla col pollice, come emblema della sua potenza e feticcio vezzoso. La maestrina, ben presto, assocerà l'odor di pipa, misto a quello dell'acquavite, al respiro muschiato di quel giovane inquietante.

 De Amicis attese ben un anno per poter recarsi a Costantinopoli. Un anno fatto di risparmi, ricerche e attento studio. L'ingresso a Costantinopoli  pare l'intro di una saga vichinga, in cui gli eroi si avvicinano a una città portuale che si schiude lentamente dal mistero della bruma serrata, sbocciando pian piano con le sue meraviglie e i suoi contrasti.
 Città degli opposti in cui Oriente e Occidente si toccano, si fondono e si respingono. Città di mulinelli in cui ogni turco è un funambolo non solo in senso geografico, ma anche in senso temporale. I contrasti nascono tra il passato e il fututo, tra i tradizioalisti e i riformati. Il De Amicis vede il Sultano come vittima suprema di tale trasformazione, non più vero mussulmano e non ancora vero europeo, regnante di un popolo bifronte come Giano. L'autore, immaginandosi nei panni del sovrano, si vede in fuga da tutto questa condizione, così unica e singolare, rifugiato in una taverna di Galata, con un bicchiere di birra in mano e una pipa di gesso in bocca.
 La pipa, in "Costantinopoli", diviene il porto sicuro, una zona franca in cui rifugiarsi e cercar un po' di pace e di relax. La vediamo, infatti, fumare nei momenti più disparati, magari al cimitero o dopo una sauna...
 Il De Amicis ci descrive un'usanza particolare. Due turchi, in compagnia di un bambino, si fermano innanzi a una tomba, improvvisando un frugale pasto. Dopo aver raccolto un po' di cibo in un foglio di carta, e posto questo pacchetto in un buco accanto al sepolcro, i due adulti si rilassano fumando le loro pipe. Quel foro serve come antro di comunicazione coll'antenato, per condividere cibo, pianto, segreti e, magari, anche il fumo della propria pipa.
 Pipa che diviene un premio, quasi uno zuccherino per adulti, al fine di appagare la mente dopo strapazzi particolari. Particolari come l'esperienza di ustioni, battimenti, pizzicotti, fregamenti, strigliaturi e asciugamenti che l'autore subisce durante la sua visita al bagno turco. La pipa e una limonata sono il contentino dopo tal tormento.




Proprio per i pipari, il bazar è un luogo da sogno. Dopo averci allettato con i prodotti ittici del Balik-bazar, De Amicis ci conduce dove viene esposta "la quarta colonna della tenda della volutta" o "il quarto sofà dei godimenti". Lo scrittore ci descrive i diversi tabacchi che vengono esposti, formando piramidi e mucchi rotondi sulla cui cima campeggia una limone. Ci sono il latakié di Antiochia, il biondo e sottilissimo tabacco del Serraglio, tabacco da sigaretta e da cibuk, il fortissimo tombeki, domato dal narghilè, e quello leggero che concilia il sonno delle odalische.




 Materializzazione di sogni è il bazar delle pipe. Qui si trovano pipe di  gelsomino, di ciliegio, d’acero e di rosaio; ambra gialla del mar Baltico che, in tutte le sfumature, brilla sotto forma di bocchini ornati di rubini e diamanti; pipe di Cesare con i cannelli ornati di seta e oro; porta tabacco rabescati; ecc. Tutto ciò è custodito da occhi di civetta che controllano ogni passo, ogni sguardo che si posi su tal opere d'arte. Sguardi certamente impotenti, poiché tal preziosi son solo alla merce di   vizir e pascià, o magari da dignitari di Corte e ambasciatori che desiderano usar tali sogni per aggraziarsi uomini potenti.
 Il De Amicis immagina i turchi modesti che, asciugandosi gli occhi innanzi a tal splendore, si consolano parafrasando una sentenza del Profeta: "il fuoco dell’inferno tuonerà come il muggito del cammello nel ventre di colui che fuma in una pipa d’oro o d’argento"





 Con cosa accompagnare queste opere? Il De Amicis, prima di partire per Costantinopoli, fece scorta di sigari e, nell'opera, lo utilizza per descriver la particolarità della città turca, dicendo che passeggiando, si può accender un sigaro in Europa e spegnerlo in Asia. Mi sembra giusto quindi utilizzar un sigaro, che sia anche apprezzabile in pipa, proprio come l'Amazon De Amicis.
 I sigari della Amazon Cigars & Tobacco sono costituiti da Kentucky coltivato nelle zone di S. Sepolcro (AR) e Pontecorvo (FR). Il tabacco selezionato, dopo un anno di stoccaggio, viene spedito a Tarapoto, Perù, dove viene suddiviso e classificato. I sigari, fabbricati esclusivamente a mano, subiscono un processo di fermentazione naturale garantita dal clima tipico di Tarapoto, temperatura media di 32/35° e umidità del 80/90 %. Il De Amicis subisce un periodo di stagionatura di nove mesi.
 A crudo si percepisce un leggero aroma si legno e cacao. All'accensione si confermano gli aromi a crudo con una forte senzazione piccante. Ben presto si ha una virata verso note dolci e speziate, come la cannella, e aromi liquorosi.
 Dopo il primo terzo, la fumata risulta priva di ulteriori evoluzioni, ma costante e piacevole. Nell'ultimo terzo, si ha una regrressione alle note iniziali con aumento della forza e della piccantezza. In pipa risulta presente una piacevole e intensa nota di caffè tostato.
 La fumata non deve essere distratta, pena lo spegnimento del sigaro, che avviene facilmente a causa dell'assenza di acceleranti, sostanza che facilitano la fumata ma alterano il sapore del tabacco.
 Questo sigaro di forza media risulta ideale se abbinato a un Malvasia o all'Amaro Averna.





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