mercoledì 26 aprile 2017

La macchina del tempo, la Compagnia Toscana Sigari e lo Stortignaccolo Tornabuoni.






     Nel post precedente, ho esaltato la capacità del Mastro Tornabuoni Long di avvolgere il fumatore in una cortina aromatica in grado di far riemergere i legami atavici con il territorio. Oggi, con il Tornabuoni Stortignaccolo, si infittiscono i sospetti riguardo alla presenza, all'interno della Compagnia Toscana Sigari, di uno scienziato pazzo detentore di segreti wellsiani.
 Quel nome, insieme all'antico simbolo dei monopoli di stato, dove il marchio della Compagnia ha scalzato lo scudo sabaudo, è un chiaro omaggio a ciò che lo Stortignaccolo fu per il fumatore italico.
 Lo ST è costituito da una fascia di Kentucky della Valtiberina, color tonaca di frate, e da un ripieno frutto della selezione di Kentucky della Valtiberina e del Beneventano, sottoposti a una stagionatura di sei mesi. I sigari, confezionati con l'ausilio di macchinari storici, subiscono un periodo di stagionatura naturale di almeno 4 mesi.

lunedì 24 aprile 2017

Il Mastro Tornabuoni Long.





 Il focolare domestico è la traslazione della brace che ardeva al centro delle comunità primitive. Esso assolve ad una funzione che si oppone a quella omeopatica. Se nella magia omeopatica il simile generava il simile, il fuoco fungeva da feticcio con cui scacciare la forza sovrannaturale, pur essendo esso stesso materia sconosciuta e misterica. Anche se domato, esso continua ad esser figlio di quelle stesse entità. Il discendente di quella scintilla che gli uomini avevano rubato dal Pantheon che assediava le loro vite, ma soprattutto le loro notti.
 Osservare le braci crepitanti era un monito alla fugacita del loro essere e all'incertezza delle loro esistenze. Le braci erano il portale attraverso il quale l'uomo rimembrava il suo passato e le forze ormai estinte. Proprio come il Buck di London.
 Il gesto di accendere la pipa, tramite un rametto arso con il fuoco del caminetto, è il simbolo attraverso il quale l'anziano diveniva depositario di tale consapevolezza e del suo valore ancestrale. La vestale patrialcare di quel legame mai scisso.
 Quel fuoco primordiale non può che ardere un opera sublime come il Mastro Tornabuoni Long. I suoi aromi ti avvolgono immergendoti in un ambiente rurale. E' come se la terra rivestisse i cenci della civiltà, ponendo un legame con il passato e con gli avi, che miscelarono sudore e sangue a quella stessa terra.



martedì 11 aprile 2017

L'Amazon "De Amicis" e le pipe del De Amicis





     Edmondo De Amicis ha inserito spesso la pipa nelle sue opere, con simbolismi e percezioni diverse, e a volte opposte. Ho deciso quindi di descrivere le pipe che lo scrittore ha incastonato nelle sue opere, come appendici che vanno ad amplificare l'interiorità dei personaggi.

 "Cuore" è l'esaltazione della scuola come fornace del nuovo popolo italico. Un fiume i cui affluenti sono tutti i ceti della nazione. Un fiume in cui sfociano i figli di tutte le sorgenti della patria terra unificata, uniti tra fratelli nel culto della patria.     
 L'opera stessa del De Amicis diviene testo e fonte per dissetare il cuore dei fanciulli italiani, tessendo quel legame pedagogico ed empatico essenziale per la loro evoluzione.
 La pipa, in quest'opera, fa il proprio ingresso in bocca al padre di Coretti, amico del protagonista Enrico, durante l'arrivo di Re Umberto alla stazione della strada ferrata. La pipa diviene, assieme alla medaglia al valore e alle due commemorative, non solo simbolo dell'autorità paterna, ma anche del vissuto, storico e morale, di quell'uomo che combattè nel quarto battaglione del '49 ed ebbe il Re, all'epoca principe, come generale di divisione durante la mattina del 24 Giugno 1966,  quando il battaglione si trovò ai ferri con le lance degli ulani austriaci.
 La sua pipa di gesso la incontriamo nuovamente durante la scampagnata che il rivenditor di legna organizza in collina per il figliolo e i suoi amici. Con la pipa tra i denti e la giacca sulla spalla, Coretti padre segue da lontano i fanciulli, che saltano, corrono e urlano, minacciandoli ogni tanto con la mano, per evitar che si facciano male o si rovinino i calzoni.
 La pipa, come simbolo di protezione paterna, è presente anche nel racconto mensile "Dagli Appennini alla Ande". Protagonista del racconto è Marco, un ragazzo genovese di tredici anni, che parte per Buenos Aires in cerca della madre.
 Il viaggio in mare ha una durata di ben ventisette giorni. Verso la fine del viaggio, Marco conosce un vecchio contadino lombardo, il quale, mentre fuma la pipa seduto a prua e sotto il cielo stellato, cerca di confortare il fanciullo, in pena per gli incubi che avvolgono le sue speranze di riveder la madre sana e salva.